[Test] Shimano WH-RX880

La prova su strada

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La prova su strada

Come per la trasmissione GRX 2x12v Di2, il mio battesimo con queste ruote è avvenuto in occasione del Grinduro Italia 2024. Il mio personale focus era il GRX, quindi alle ruote ho badato poco. In realtà alla fine ho badato poco a tutto, mi sono talmente divertito che ho trascurato più di un dovere…

Si, qualche prova lungo il percorso l’ho fatta, poca roba e senza il conforto del riscontro sui miei circuiti, ma un minimo di esperienza c’è mio malgrado e una prima idea me la ero fatta. Non sufficiente a rispondere al dubbio che mi ha accompagnato in questi mesi, dal rientro del Grinduro fino a far girare le RX880 per questo test.

Quindi posso rimediare oggi.

Solita premessa di metodo. La bici usata, anzi il telaio, è il Trek Checkpoint SL gen 2 (quello precedente all’attuale versione), le gomme usate tante: Pirelli Cinturato Gravel M e RC, perché già le conosco e le prime uscite dovevano essere senza variabile copertoni; poi a seguire le Continental Terra Speed e infine di nuovo Pirelli Cinturato Gravel ma modello Adventure. Tutte in misura 700×40.

I percorsi sono stati i più vari possibili, ci ho buttato dentro di tutto. Dalla crono in pianura all’arrampicata lingua sull’asfalto, dal sentiero battuto al track da Mtb, dal lungo affrontato con piglio tecnico al lungo interpretato per puro svago. Con tutto quello che può capitarci in mezzo.

Se sia gravel o meno non lo so, io non mi interrogo più e poi tanto il gravel non esiste, quindi inutile perderci tempo.

Meglio impiegarlo, come ho fatto, pedalando e divertendomi. E rilassandomi, perché d’accordo il dovere ma con questi test (trasmissione GRX, ruote, gomme, stem e nuove pieghe Redshift di cui leggerete) ho ritrovato il piacere di andare in bici per il solo gusto di andarci, senza ansia da recensione. Non mi capitava da parecchio.

Merito senza dubbio del bel pacchetto a disposizione, anche se non è certo la prima volta che pedalo sul meglio disponibile. Stavolta, in queste passate settimane, è scattato qualcosa, come se fosse divampata una fiammella che negli ultimi mesi ardeva sempre meno, troppo assorbito io da questo blog, dal canale video e da tutte le incombenze che portare avanti questa avventura comporta.  

Forse la consapevolezza che ormai questo sono, non ho da dimostrare nulla, se perdo il piacere di fare quello che sto facendo, se diventa un dovere, allora ne verranno fuori brutti articoli.

Cosa c’entrano le ruote in questo mio breve sfogo? C’entrano, perché sin dalle prime uscite sono state loro a prendere la Checkpoint SL, che già avevo testato in configurazione originale, e dargli quella verve capace di rendere ogni pedalata uno spasso. E già.

Però adesso basta, mettiamo le ruote su strada, per l’esattezza sull’asfalto.

La leggerezza delle Shimano WH-RX880 balza subito in evidenza dopo pochi giri di pedale. In pianura parti, prendi il ritmo (non scrivo velocità, nel mio caso sarebbe millanteria…), le ruote si attestano e sostengono con una scorrevolezza esemplare.

Che i mozzi Shimano di alta gamma come questi siano semplicemente eccellenti lo so da molti anni dacché li uso e recensisco. Qui trae in inganno l’aspetto poco “tecnologico”, con la flangia semplice per capirci, che impone quasi a sottovalutarle.

Il profilo da 32 non fornisce quell’apporto superata una certa velocità come avviene con ruote dal profilo più alto ma, diversamente da quanto registriamo con cerchi a basso profilo, non c’è quella fastidiosa perdita di velocità appena per qualche motivo caliamo l’andatura, per esempio per bere. 

Le RX880 conservano abbastanza a lungo il passo; non “trascinano” come le Ultegra C36 che testai due anni fa ma nemmeno ti piantano come succede con ruote a basso profilo e assai leggere.

Questo significa non sprecare energia per rilanciare e io, ormai, sono sempre attento a evitare sprechi…

Favorito dalle qualità dinamiche della bici usata e dalla rapportatura sportiva (GRX in combinazione 48-31 e 11/34) in piano ho potuto tenere buone medie e, causa clima non proprio ideale nella prima metà del test, sincerarmi dell’assoluta neutralità al vento laterale.

Certo, 32mm non sono una altezza elevata: ma aggiungiamo le gomme da gravel belle corpose e barriera da opporre al vento c’è.

Prima ho citato le Ultegra C36; ora io non ho notizia che Shimano abbia sfruttato le stesse soluzioni aerodinamiche delle Ultegra anche sulle RX880. Ma di sicuro hanno attinto alla tecnologia D2, seppur mitigata dalla superiore sezione delle gomme, perché tanta neutralità e precisa direzionalità nelle condizioni di vento in cui ho pedalato non lo spieghi solo con la ridotta altezza del cerchio.

Fatta la tara alle diverse gomme usate, ognuna con sue caratteristiche su asfalto, apprezzi da subito la grande efficacia dei mozzi Shimano. Ho iniziato il test a ruote nuove, intonse e l’ho iniziato proprio con le uscite in piano. Son bastati una 50ina di km perché i mozzi si rodassero, sempre i coni e sfere hanno bisogno del loro assestamento, e venissero fuori l’eccellente lavorazione e qualità dei cuscinetti a cui Shimano ci ha da tempo abituato.

A trarre in inganno, all’inizio, il look quasi dismesso di questi mozzi, che non abbagliano con fresature, lavorazioni e colorazioni ma puntano tutto sulla (tanta) sostanza.

Sempre fatta la tara alle diverse gomme usate inizia a fare capolino l’elevato livello di comfort, apprezzabile sull’asfalto malmesso delle nostre strade. Le ruote non sono rigide come assi ma al tempo stesso non sono nemmeno cedevoli quando, per esempio, ci alziamo sui pedali per rilanciare l’andatura. La posteriore segue pronta, l’anteriore ha una lieve flessione, del tutto naturale, caricando il peso in avanti. Il mio peso…

Del tutto trascurabile il vento laterale, la ruota tiene sempre la linea senza incertezze. 

Comunque la pianura mi ha sempre annoiato, quindi risolti rapidamente i check segnati sul notes posso imboccare la prima salita, quella semplice.

Qui più che la leggerezza, relativa data la bassa pendenza, contano scorrevolezza e prontezza nel cambio passo nei tratti dove la strada impenna improvvisa.

La prima sempre di alto livello, la seconda pure. Mi aspettavo se non inerzia almeno un minimo ritardo dato dalla relativa morbidezza delle ruote, che non sono tra le più rigide, giustamente vista la vocazione gravel.

Niente di tutto questo, l’unica cedevolezza l’ho avvertita dalla gomma anteriore lei si molto morbida (tranne una tra quelle usate) e che un poco ha ceduto sotto il mio peso; peso, non forza…

Ho proseguito baldanzoso per raggiungere la salita a difficoltà media, dove si alternano tratti duri con altri dove spiana; spiana per davvero, non come quando mentiamo agli amici.

Qui oltre la scorrevolezza il peso diventa un fattore importante e, se c’è, anche la capacità della ruota di darti una mano a venir su.

Le Shimano RX-880 non sono un peso piuma ma son molto leggere. Con valvola e nastro tubeless montati ho rilevato 639 grammi all’anteriore e 765 per la ruota posteriore. Colpisce la differenza molto bassa tra le due, segno che tutto il meccanismo della ruota libera pesa assai poco.

Nessuna zavorra, si sale spediti finché la gamba regge, manca solo quella capacità di tenere la velocità su pendenze medio alte che rilevai, torno ancora a loro, con le Ultegra C36. E c’è un motivo per cui le sto citando spesso, lo chiarirò nel capitolo conclusivo.

Anche qui promozione; manca l’acuto, quel momento in cui dici “ok, è la ruota” eppure sali bene, ma proprio bene.

Serve la pendenza tosta, obtorto collo inizio pure questa ascesa. Dove il primo tratto è proprio rognoso, se lo gestisci male bruci tutte le energie e ti pianti dopo 400 metri.

Io l’ho preso a palla la prima volta, tanto non era in programma arrivare in cima, solo la verifica su quella pendenza; e poi gestito bene la seconda volta fino al santuario, un pellegrinaggio più che una salita.

In piedi a stantuffare e lingua a raspare l’asfalto la prima volta e le ruote hanno tollerato ogni maltrattamento, soprattutto nella inevitabile torsione laterale. Sempre per restare in casa Shimano, ricordo quando lì le Dura Ace C24 7900 andavano a toccare i pattini freno, tanto che ero solito aprire i caliper. Son passati anni e sono passati in modo fruttuoso.

Affrontando la salita con la giusta strategia, che nel mio caso significa andare di conserva all’inizio e puntare tutto sulla regolarità, tirare il fiato nei brevi tratti in cui la pendenza scema senza farsi venire la fregola di rilanciare ma sfruttandoli per riposare, sono emerse tutte le qualità stradali di queste ruote: leggerezza, prontezza, scorrevolezza.

Senza l’acuto che però, lo sappiamo, significa pagare pegno altrove. Ecco che finalmente ho il filo conduttore di queste ruote.

Che mi porta ad affrontare le relative discese con altra mentalità. Non la ricerca del momento in cui le RX880 entrano a prendersi il proscenio ma scovare come sotto l’abito discreto si nasconda una encomiabile neutralità di comportamento.

In velocità, ora posso scriverlo senza tema di sberleffi, siamo in discesa, la direzionalità è eccellente, così come eccellente la capacità di rilanciare senza flettere uscendo a tutta dalle curve strette. Giusto per: farlo col Di2 è uno spasso, hai in un attimo il giusto rapporto per rilanciare cambiando mentre stai frenando in ingresso di curva, come fossi in moto.

La precisione è notevole, ottima guidabilità nello stretto, perfetta direzionalità nelle curve ampie prese a palla. Merito della ruota tutta, della tecnologia a coni e sfere che sempre ha quel marginal gain a bici inclinata, quando la forza impressa tende a “schiacciare” i cuscinetti. Oddio, ho proprio scritto marginal gain? Che sto diventando…

Nei rilanci fuori dalle curve strette non c’è alcun effetto pendolo, segno che la raggiatura non cede sotto la spinta; non vanno assolutamente in risonanza e se la gomma è di quelle che tiene non serve attendere di essere del tutto fuori dalla curva per rinvigorire l’andatura.

Incontrando vento laterale all’improvviso in uscita, situazione probabile scendendo strade di montagna, restano del tutto neutre mantenendo fedeli la linea impostata. 

Per come si comportano, per la sicurezza offerta e per il divertimento che elargiscono a piene mani, io consiglio caldamente l’uso di gomme di alta gamma: se le meritano.

Nelle frenate più brusche l’unico cedimento che avverti è quello della carcassa della gomma, le RX-880 restano sempre ben salde.

Ora posso confessarlo: in realtà lo sapevo già, ho mentito all’inizio dicendo che non sapevo cosa aspettarmi.

Le WH-RX880 le avevo usate al Grinduro 2024 e nell’ultimo tratto avevo abbandonato il percorso off road (che poi mi hanno detto essere bellissimo, ovviamente…) perché volevo capire ruote e trasmissione GRX 2x12v Di2 su asfalto e la strada che avevo davanti era perfetta allo scopo.

Però la certezza, e qui sono sincero, l’ho raggiunta solo nella comfort zone dei miei circuiti di prova, dove posso chiamare per nome ogni granello di asfalto.

Asfalto che però è il momento di salutare, lanciamo le RX880 in off road. 

Anche qui opero una distinzione per morfologia e tipologia dei percorsi, parto da quello più semplice, il gravel classico fatto di strade bianche, fondo compatto, scorrevoli e prive di importanti dislivelli o difficoltà tecniche.

Pur mettendo in conto il lavoro fondamentale delle (ottime, tutte) coperture usate, l’apporto delle RX880 è stato rilevante.

Fondo si compatto ma certo non è asfalto, si balla su buche e dossi e qui le ruote hanno dimostrato una capacità di incassare senza scomporsi mai, degne di una ruota da fuoristrada puro. Senza mai pregiudicare l’elevato comfort che donano a piene mani.

Stavolta è inutile che menta creando la finzione romanzesca: lo sapevo già. Come vi ho detto ci ho pedalato i giorni del Grinduro, che ha significato non solo la manifestazione del sabato ma anche i miei giri solitari svolti nei giorni precedenti, pedalando per raccogliere dati.

E vista la premessa, sapevo già cosa avrei trovato alzando l’asticella delle difficoltà.

Che però ho potuto realmente alzare solo con questo test e non perché a settembre non avessi incontrato difficoltà capaci di mettere alla frusta le ruote: proprio perché ho incontrato fin troppe difficoltà da affrontare e io, se non conosco il percorso, vado di conserva.

Un mio limite se vogliamo ma invecchio, mi faccio male con più facilità e i postumi durano più a lungo. Poco prima di iniziare il test un semplice incidente domestico, che qualche anno fa avrei risolto con un poco di ghiaccio, mi è costato invece tre settimane di tutore.

Però una volta messe le ruote, letteralmente, sui mie sentieri, quelli dove so a memoria cosa c’è dietro la curva cieca, dove c’è il solco da prendere per aggirare il masso, dove quella radice infingarda si nasconde nel fitto della vegetazione e, soprattutto, senza l’ansia di rompermi io e rompere la bici, ho potuto assaporare ogni sensazione a mente sgombra.

E prima di entrare nel dettaglio del comportamento una precisazione: chi sostiene che una ruota in carbonio non è adatta al fuoristrada tosto non ha mai usato buone ruote in carbonio. Le ho maltrattate al limite del sadismo, ne ho ricavato solo qualche segno superficiale. Brutto, ma solo danno estetico.

Ovviamente comprendo l’importanza della copertura usata, deve essere eccellente perché per quanto le ruote possano essere valide, se non calzano una gomma capace di tenerle in (fuori)strada serve a nulla. Quindi devo tarare i risultati con il lavoro dei copertoncini.

Per questo ho scelto nelle prime uscite più tecniche di usare gomme già conosciute, in questo caso ho preferito le Pirelli Gravel M, adatte ai fondi morbidi che ho affrontato nella prima parte del test per passare subito dopo alla versione RC; poi il miglioramento del meteo e la mia maggiore confidenza con le ruote mi ha permesso di usare efficacemente altre coperture.

Leggerezza e prontezza di reazione le caratteristiche subito emerse; grande robustezza quella venuta fuori col tempo.

Poco peso, basso profilo, raggiatura ben studiata, canale largo che esalta la gomma di maggior sezione sono tutto elementi che si fanno valere nella guida off road più spinta.

La scorrevolezza dei mozzi, netta su asfalto, qui si apprezza ma data la minore velocità lo classifico come bonus ulteriore che male non fa, preferendo porre l’accento sulla risposta sempre pronta e prevedibile, un aiuto concreto quando il percorso si fa rognoso.

Come molto apprezzabile è la precisa direzionalità, merito della bici certo, ma il connubio di neutralità tra il telaio e le ruote si è tradotto in una facilità di guida incredibile.

Una facilità tale da permettermi di affrontare in assoluta sicurezza percorsi da Mtb, fatti di gradoni, muri improvvisi, slalom tra gli alberi e un sottobosco infido che induce facilmente in errore.

Molti mi ripetono che non dovrei inserire questi percorsi nei test gravel, è troppo e comunque inutile.

Io, ovviamente, non sono d’accordo, lascio sempre libertà a ogni ciclista di vivere la propria vita sui pedali come meglio crede. Il mio compito è sincerarmi che se lo fa, lo può fare e non si rompe lui e la buci.

Come è andata? E’ andata, hai voglia se è andata.

E questo mi porta a tornare sul mio primo contatto con le RX880 in occasione del Grinduro, dove oltre al percorso ignoto, ignota mi era pure la bici, mai usata prima. In quel momento non era importante, non ero lì per testare le ruote né la bici, solo dare una prima valutazione alla trasmissione e per farlo tutto quello che c’era intorno non aveva importanza.

Non vi ho nascosto nel mio resoconto che mi ero trovato a poco agio con la bici usata, per problemi tecnici suoi e una impostazione poco adatta al fuoristrada impegnativo.

Però è ovvio, la natura da tester non l’abbandoni e qualcosa sulle ruote avevo iniziato a decifrarlo e l’impressione (fugace date le circostanze) mi stessero aiutando a non stamparmi in un albero e a superare indenne alcuni passaggi c’era.

La conferma l’ho avuta con questo test. E per esserne sicuro ho portato con me un secondo set di ruote, da battaglia diciamo così, già ben conosciute e pari canale, ripercorrendo a breve distanza gli stessi sentieri. E trovando conferma del lavoro delle RX880, della loro neutralità unita alla capacità di rendere tutto facile.

Perché se sul medesimo tragitto e con tutta la bici uguale tranne le ruote vedi che lo scatto per superare l’ostacolo è più pronto, lo slalom più preciso, la velocità superiore, l’impegni psicofisico minore allora non si scappa: le protagoniste sono le ruote.

E così ho potuto assegnare il 10 pieno alla voce “confidenza”, che per me significa proprio la capacità di un componente di renderti la guida amichevole, senza sorprese, senza stress e reazioni nette che impongono un plus di concentrazione, al di là se poi magari quella reazione ti avvantaggi al cronometro.

Insieme alle voci scorrevolezza e peso, quest’ultimo con postilla che è meglio la robustezza piuttosto la leggerezza assoluta, l’unica col massimo punteggio.

Eppure, dopo tutto quello che ho scritto fin qui, sarebbe stato lecito trovare il massimo in ogni voce. Invece no, tutti voti alti ma non il massimo.

Ma la media mi ha riportato al 10 e lode in pagella: come mai?

Lo spiego nelle conclusioni.

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